Nuove fonti di ispirazione del balletto di corte agli inizi del 1600
All’inizio del Seicento il balletto di corte iniziò a stabilizzarsi su nuove fonti ispiratrici, in questo periodo storico iniziano a subentrare nell’ambito narrativo della danza i romanzi cavallereschi, testi molto popolari per quanto riguarda la letteratura del XVII secolo.
Questo avviene in particolare nei primi decenni del secolo con opere come il Balletto della Liberazione di Rinaldo (del 1617), un lavoro artistico assai importante che iniziò a dimostrare come il balletto e quindi l’arte potesse essere utilizzato a scopo persuasivo anche in ambito politico.
Il racconto parla di un uomo imprigionato da una maga che lo costringe ad una vita senza scopo alcuno, rinchiuso tra le frivolezze di una vita agiata, piena di lusso ma al contempo monotona e completamente immotivata, senza emozioni, una narrazione che servì a parallelizzare esattamente ed in maniera inequivocabile la situazione nella quale tergiversava la Nazione in quel tempo.
L’opera era composta da momenti sia magici che comici, commedia al punto giusto, descrivendo la storia di Rinaldo, con molti personaggi, tra i quali figurava persino il Re Luigi XIII, che interpretò ben due personaggi: Goffredo di Buglione e lo spirito del fuoco, quest’ultima figura mitologica appartenente alla sfera delle divinità con funzione purificatrice.
Lo stesso Re è colui che utilizzò e scelse il balletto di corte come strumento artistico per suggellare la propria carica di Sovrano e la propria autorità sul popolo, per esserne sia amico confidenziale, ma al contempo, essere visto come un grande artista capace di ogni cosa, dal grande potere.
La struttura narrativa di questo genere di rappresentazioni rimase filologica ed unitaria per un bel po’ di tempo anche se subito dopo il primo ventennio del secolo, la narrazione delle opere subisce una sorta di passaggio in secondo piano, la continuità drammatica perse importanza, dando maggiore rilievo alle coreografie e lasciando così la narrazione in un intreccio abbastanza vago e poco ricamato.
Come ad esempio accadde nel Balletto dei Ladri del 1624, nel quale apparvero distinti episodi tenuti insieme esclusivamente dal filo logico dei soggetti rappresentati: i ladri, la notte, la luna, le stelle, ma senze un’apparente sequenza narrativa e temporale come era di uso comune per le rappresentazioni eseguite sino ad allora.
Ogni entrata dei danzatori coinvolgeva un piccolo o medio gruppo di interpreti, solitamente composti dai 3 ai 6 elementi per volta.
Il classico balletto drammatico al contrario di questa nuova struttura rappresentativa, occupava un’organizzazione maggiore sia in ambito pratico che coreografico che di preparazione di ogni cosa ed ogni minimo dettaglio; questi nuovi balletti a settori invece erano strutturabili con meno spese di produzione, poiché costruiti con meno prove e molto meno impatto recitativo.
Anche in ambito Borghese questi balletti vennero accolti in maniera più vasta dal pubblico, perché era uso comune riprodurli in chiave ridotta anche nelle case degli aristocratici o di chi si poteva permettere l’ingaggio di artisti per svolgere opere mignon per amici e familiari, svolte direttamente tra le mura di casa.